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Cos’è il neuromarketing e come si può utilizzare

neuromarketing hostess & promoter
Foto presa dal web

Il neuromarketing è la nuova frontiera del marketing. E’ una disciplina abbastanza recente, ancora coinvolta in un processo di codifica e quindi oggetto di studi, paper, ricerche di natura scientifica. Eppure già molto si sa sul neuromarketing, sono numerose le tecniche a disposizione per chi vuole imprimere un cambiamento alle proprie strategie e aumentare esponenzialmente la sua efficacia nel mercato.

La buona notizia è che il neuromarketing, entro certi limiti, può essere praticato non solo dai “grandi” ma anche “dai piccoli”. Buona parte degli strumenti attualmente in uso, infatti, sono solo moderatamente costosi. E’ sufficiente spendere le competenze giuste, il ché significa rivolgersi alle persone giuste. In questo caso più che in altri, improvvisazione e fai da te sono da evitare.

In questa breve ma esaustiva guida parliamo del neuromarketing, fornendo una definizione più semplice possibile, descrivendo principi, tecniche, strumenti, ambiti di applicazione e riportando alcuni esempi.

Cos’è il neuromarketing

Dunque, cos’è il neuromarketing? Con questa espressione si intende l’applicazione delle neuroscienze nel marketing. Ovvero, di tutto quel sapere che riguarda il funzionamento della mente, soprattutto nella fase di decisione.

Il neuromarketing è dunque una risorsa in primis per la parte analitica di qualsiasi attività di marketing. E’ uno strumento di comprensione. A partire da quanto appreso, in una fase successiva, è possibile modificare strategie, attività e azioni sul campo.

Il neuromarketing è rivoluzionario in quanto si basa su alcuni principi niente affatto scontati e che, anzi, rompono alcuni tabù. Ecco i più “sorprendenti”.

Le decisioni di consumo sono irrazionali

Secondo alcuni studi, il 95% delle decisioni di consumo deriva non già da un ragionamento in chiaro, razionale e consapevole, bensì da processi irrazionali. In buona sostanza, la quasi totalità delle decisioni proviene direttamente dall’inconscio. Solo successivamente, la parte conscia della mente trova una giustificazione alle decisioni prese. Questo processo, va detto, avviene sostanzialmente in automatico e riguarda tutti. 

Questa dinamica – semplice quanto sorprendente – cambia le carte in tavola e impone una conoscenza del target ancora più profonda, che coinvolga la sua parte inconscia, più segreta. Una conoscenza che, va da sé, può essere raggiunta solo attraverso una disciplina ad hoc, come quelle che fanno capo alle neuroscienze e alle scienze cognitive. 

I consumatori non dicono ciò che pensano

Se il processo decisionale è automatico, allora lo sono anche i processi con cui l’inconscio influenza la parte conscia. Ne deriva che raramente le persone dicono, anzi riescono a dire ciò che realmente pensano. La risposta a una domanda d’altronde coinvolge il linguaggio, che è uno strumento razionale. 

Ciò, di nuovo, cambia le carte in tavola e impone di guardare sotto una diversa luce gli strumenti di indagine del marketing tradizionale: sondaggi, intervista one-to-one, focus group. Sia chiaro, questi non diventano di colpo inutili, ma devono essere progettati in modo da far emergere l’inconscio degli intervistati. 

Le tecniche di indagine delle neuroscienze possono essere applicate anche al marketing

Un altro principio su cui si basa il neuromarketing, e che in fondo lo rende utilizzabile, è la possibilità di integrare nelle attività di marketing (principalmente in quelle analitiche) buona parte degli strumenti e delle tecniche delle neuroscienze.

Il riferimento è innanzitutto agli strumenti di indagine anatomica, come la risonanza magnetica funzionale, la quale ha un grande pregio: mostra le aree del cervello che si attivano durante uno stimolo. Dunque, informa sul tipo di emozione, sentimento, percezione che un individuo sta vivendo in quel momento, al di là di quanto dice e fa. 

Allo stesso modo, un certo contributo proviene anche dalla psicologia cognitiva e dalla psicologia sociale. Queste discipline permettono di cogliere dei pattern, di sfruttare le manifestazioni reali dell’inconscio. 

Social Media and Social Marketing - Illustration

Differenza tra marketing tradizionale e neuromarketing

Giunti a questo punto, vale la pena parlare del rapporto tra marketing tradizionale e neuromarketing. Ovvero, delle differenze di approccio, tanto in fase analitica quanto in fase strategica. Ecco le differenze più lampanti.

La comprensione dei processi cognitivi dei consumatori

Anche il marketing tradizionale conferisce alla comprensione del consumatore, o per meglio dire del proprio target, un’importanza capitale. Tuttavia, alla luce delle scoperte nel campo delle neuroscienze applicate alle decisioni di consumo, si evince una piccola grande verità; il marketing tradizionale e il neuromarketing operano su piani diversi.

Il marketing tradizionale indaga la risposta consapevole, conscia e non potrebbe fare altrimenti, visti gli strumenti a sua disposizione. Tutto ciò al netto di alcune tecniche particolari, benché tradizionali, che si avvicinano comunque all’ideale dell’indagine profonda, come il Mystery Client.

Il neuromarketing indaga non solo la risposta consapevole, che è comunque utile per individuare i fattori che agiscono sulla rielaborazione delle decisioni, ma anche e soprattutto l’inconscio, gli istinti e gli impulsi che portano a compiere un’azione anzichè un’altra.

Le tecniche di indagine

La differenza più evidente riguarda le tecniche di indagine, ovvero il modo con cui i due approcci studiano il consumatore. Il marketing tradizionale indugia su sondaggi, intervista one-to-one, focus group. 

La cifra del neuromarketing è invece l’uso di tecniche a forte carattere scientifico come la risonanza magnetica funzionale, l’eye tracking (che consente di studiare i movimenti dell’occhio) ma anche tutti gli strumenti della psicologia cognitiva e sociale. 

Il neuromarketing non relega in soffitta le tecniche tradizionali. In particolare, focus group e interviste continuano a ricoprire un ruolo importante. Tuttavia, sono affiancati dalle tecniche neuroscientifiche e in ogni caso sono coinvolte in un processo di reinterpretazione. Le modalità di conduzione delle interviste, siano esse individuali o collettive, scavano più nel profondo. Dall’esterno possono apparire come minimo peculiari, perché giocano sulle associazioni psicologiche piuttosto che sulle domande dirette. 

La questione etica

Questo è un punto fondamentale. Il marketing tradizionale è quasi per definizione tacciato di manipolazione ma tali accuse sono per lo più infondate. Nel caso del neuromarketing invece il pericolo appare un po’ più consistente. Del resto, si analizzano e si “estraggono” informazioni che nemmeno i diretti interessati conoscono.

Insomma, il neuromarketing maneggia un materiale scottante, a maggior ragione se si considera che ancora molto si disconosce sui meccanismi di funzionamento del cervello. Si corre il rischio di fare danni? Assolutamente no. Il rischio, più che altro, è di oltrepassare il confine tra ciò che è etico e ciò che non lo è. 

Tecniche e strumenti del neuromarketing

Entriamo ora in profondità nel discorso sulle tecniche e sugli strumenti. Sono infatti molto interessanti, sia per i saperi che coinvolgono sia per i risultati che consentono di ottenere. Ecco una panoramica delle tecniche e degli strumenti più utilizzati dal neuromarketing

Imaging cerebrale

Più che uno strumento, l’imaging cerebrale è una vera e propria disciplina. Il suo scopo, almeno nella sua variante funzionale, è capire come reagiscono le varie aree del cervello a determinati stimoli. Per reazione, in questo caso, si intende un “semplice” aumento del metabolismo.

L’imaging cerebrale è utilizzato per verificare l’effetto di lesioni o di patologie sulla funzionalità del cervello. Per esempio, un malato di Alzheimer mostrerà una scarsa attività dei centri di riconoscimento, quando viene sottoposto a immagini e stimoli che dovrebbero essere a lui familiari.

Nel campo del neuromarketing l’imaging cerebrale è fondamentale in quanto consente di capire quali immagini, stimoli e attività “colpiscono” veramente il consumatore, e in che modo. 

Eye tracking

Questa tecnica è chiamata anche oculometria o monitoraggio oculare. Non è altro che la misurazione del punto di fissazione oculare. In buona sostanza, permette di capire cosa l’occhio sta veramente guardando, cosa guarda più spesso, su cosa si sofferma particolarmente.

Con l’eye tracking è possibile intuire cosa veramente attira l’attenzione del consumatore. Non a caso, viene utilizzato soprattutto per individuare la posizione più corretta da associare a questo o a quel prodotto, a questo o a quell’elemento. 

Lo strumento d’elezione dell’eye tracking è il cosiddetto tracciatore oculare, un set di elettrodi fissati intorno agli occhi.

Scopri di più sull’Eye Tracking >

Focus group e interviste “psicologizzate”

I focus group e le interviste mantengono una loro importanza nel neuromarketing. Tuttavia, vengono progettati e condotti con l’ausilio delle scienze cognitive e della psicologia.

Lo scopo è far emergere le reazioni inconsce. Dunque, non si lavora tanto con le domande dirette quanto con  le associazioni. Ciò impone la cooptazione di specialisti, e quindi di competenze nuove, all’interno dei gruppi di lavoro.

Ambiti di applicazione del neuromarketing

Alla luce di ciò, si può ben intuire la vastità di applicazioni del neuromarketing. Di base, e proprio perché coinvolge la fase iniziale, quella dell’analisi, interessa buona parte delle attività connesse al marketing propriamente detto. 

Ecco qualche esempio.

Rebranding

Il neuromarketing consente di praticare un rebranding efficace. Ovvero, un ripensamento generale di quello che il brand deve esprimere. Tale rielaborazione, proprio grazie al neuromarketing, si basa su informazioni efficaci, ovvero su ciò che il consumatore in target si aspetta realmente dall’azienda. 

In tal modo, si ottiene una totale coerenza tra ciò che il brand è e le necessità del consumatore. Ovviamente, occorre profondere equilibrio e – paradossalmente – razionalità al processo di rebranding. Può portare lontano, molto lontano, verso un cambiamento poco sostenibile. 

Merchandising Emotional Marketing

Design del packaging

La rielaborazione del packaging è un altro interessante ambito di applicazione del neuromarketing. Lo scopo, in questo caso, è associare al packaging due tipologie di elementi:

  • Gli elementi che maggiormente attirano l’attenzione, secondo le evidenze raccolte in sede di eye tracking;
  • Gli elementi che scatenano le reazioni più positive, secondo le evidenze raccolte con l’imaging cerebrale;
  • Gli elementi che sono inconsciamente associati al brand dal consumatore. Se tali elementi non sono funzionali alle attività di vendita è possibile riprogrammare le associazioni del target eliminando proprio gli elementi di disturbo.

Risulta illuminante, da questo punto di vista, il caso Wellness & Beauty, brand tedesco specializzato in prodotti per l’igiene personale.

A riportare i fatti è stata Gesa Lischka, CEO di Kochstrasse, durante l’evento Certamente 2016. Mediante un focus group “psicologizzato” si è scoperto che i consumatori associavano il brand Wellness & Beauty non solo alla pulizia e al buon odore, come sarebbe stato normale, ma anche… Al cibo.

In bel problema, visto che l’idea di base dell’azienda era comunicare un senso di benessere. Ecco che il packaging è stato rivoluzionato, eliminando dalle etichette qualsiasi riferimento al cibo, e in particolare alla frutta, che abbondava su buona parte delle confezioni.

Product placement

Il neuromarketing è fondamentale anche per il product placement, ovvero per il posizionamento del prodotto all’interno di uno spazio espositivo, piuttosto che all’interno del punto vendita.

Di nuovo, a farla da padrone in questo caso è l’eye tracking, che permette di verificare se un certo posizionamento funziona oppure no. 

Ottimizzazione della customer experience in una prospettiva di coinvolgimento emotivo

E’ probabilmente il campo più vasto, tra quelli di competenza del neuromarketing. Esso infatti indaga sui processi mentali che portano a una preferenza, a una decisione, al compimento di un’azione. Dunque, può essere utilizzato per cucire l’esperienza di acquisto direttamente addosso al consumatore, e massimizzare così l’interazione con esso. 

Capire cosa piace veramente al consumatore, da cosa è attratto, cosa genera in lui sensazioni positive è fondamentale per progettare un’esperienza che porti all’acquisto prima e alla fidelizzazione poi.

Per comprendere il ruolo del neuromarketing può essere utile un caso studio che coinvolge la Coca Cola e Neural Sense, un’agenzia specializzata in neuroscienze. 

Attraverso strumenti avanzati di eye tracking Neural Sense ha letteralmente scansionato il percorso di acquisto dal punto di vista emotivo. Infine, ha dedotto informazioni importanti, che possono essere utilizzate per replicare le performance del negozio preso in esame (particolarmente positive) anche negli altri punti vendita.

Qui trovate un video che riassume il progetto.